Bruno Tinti, Leonardo Sciascia e l’errore giudiziario
Scrive l’ex magistrato Bruno Tinti su Il Fatto Quotidiano a proposito del fatto che una sentenza annullata in appello o in cassazione non sia necessariamente sbagliata (e fonte di responsabilità per il giudice che la ha pronunciata):
Chi dei due ha sbagliato? E chi lo sa? E, quanto all’eventuale violazione di legge, il Tribunale può aver ritenuto che una coppia gay ha diritto di adottare un bambino, motivando le complesse norme in materia e il loro rapporto con la Costituzione; e la Corte d’appello può averle interpretate in maniera diversa. Chi ha avuto ragione? Ma allora perché si applicano le sentenze della Corte d’appello o della Cassazione se non è vero che sono più “giuste” di quelle riformate? Perché così dice la legge. Si tratta di una necessità sociale: bisogna arrivare a decisioni giudiziarie definitive, altrimenti i cittadini si farebbero giustizia da soli. La sentenza definitiva è quella che si applica, “giusta” o no che sia. Sicché pensare che la riforma della sentenza automaticamente significhi responsabilità civile del giudice che l’ha emessa è appunto frutto di ignoranza; o voglia di intimidazione o di vendetta.
Un modo più politically correct per dire quello che Leonardo Sciascia fece teorizzare al giudice Riches, presidente della Corte suprema, ne Il Contesto:
Con una nota d’isteria proclamò “L’errore giudiziario non esiste.”
“Ma i gradi del giudizio, la possibilità dei ricorsi, degli appelli…” obiettò Rogas.
“Postulano, lei vuol dire, la possibilità dell’errore… Ma non è così. Postulano soltanto l’esistenza di un’opinione diciamo laica sulla giustizia, sull’amministrazione della giustizia. Un’opinione che sta al di fuori. Ora quando una religione comincia a tener conto dell’opinione laica, è ben morta anche se non sa di esserlo. E così è la giustizia, l’amministrazione della giustizia: e uso il termine amministrazione, si capisce, per farle piacere; e comunque senza la minima ombra statutale e burocratica.”
e che Guido Vitiello sintetizza in questi termini su Il Corriere della sera descrivendo
l’atroce logica circolare che dettava al presidente Riches, nel Contesto, i suoi sillogismi persecutori: l’errore giudiziario non esiste, perché è il processo a costituire il colpevole come tale; il solo potere legittimo si fonda sulla colpa, perché «dallo stato di colpa è facile estrarre gli elementi della convinzione di reato più che dalle prove oggettive.